Ci siamo,
anche quest’anno siamo quasi arrivati alla fine di un ciclo temporale
convenzionalmente denominato “anno”. Tra breve aggiungeremo un numero al datario
che scandisce lo scorrere delle nostre esistenze e ci sentiremo un pochino più
vecchi (l’ideale sarebbe sentirsi più saggi, ma tant’è!) e, sicuramente, molto
malinconici. Che poi
questa consuetudine di mettere un punto (molto virtuale, a pensarci bene) allo
scorrere del tempo per poi riprendere immediatamente dopo ad occuparci delle
medesime attività interrotte un nanosecondo prima, mi è sempre sembrato
piuttosto bizzarro ed anche molto finto… esattamente come i cin-cin
forzatamente gioiosi a base di spumante dolce (sappiatelo, io non sopporto lo
spumante dolce, semmai vada per un brut o meglio ancora champagne!), il lancio
compulsivo di petardi e fuochi di artificio, i baci sotto il vischio ad uso e
consumo dei parenti serpenti presenti. No, non
voglio dire che festeggiare il Capodanno non mi piaccia, anzi. Adoro la
confusione, stare insieme ad altre persone, ballare e giocare. Solo che
raggiungo un basso livello di sopportazione quando l’allegria è forzata, il
“divertiamoci” diventa un obbligo. Se non c’è molto da festeggiare, se lo
spirito non è esattamente quello adatto – e una volta tanto nella vita di
ognuno di noi ci può stare, no? – molto meglio starsene tranquilli a casa, con
una bella tazza di tisana al miele, musica di sottofondo e un consolatorio
barattolo di Nutella, che non andare in giro con “facce addobbate” che fanno
venire l’ansia! L’ultimo
dell’anno in realtà un suo valore intrinseco importante lo possiede: questa
forma apotropaica di salutare il tempo trascorso e oramai irrecuperabile, è
l’occasione per riflettere su quanto fatto e quanto ancora da mettere in
cantiere. Nel bene e nel male un anno che termina è una parte della nostra vita
che non potremo più riavere.
Tempus fugit… e allora cerchiamo di viverlo tutto, secondo dopo secondo.
Tempus fugit… e allora cerchiamo di viverlo tutto, secondo dopo secondo.