Fuori c’era
il sole limpido e rosso del pomeriggio e un vento a piccole raffiche fredde. Tra
l’una e l’altra l’illusione che si fosse quietata la lama gelida di tramontana.
Gli abeti si scuotevano, i faggi vibravano perdendo le ultime foglie. Entrambi
immagino osservassero i mucchi di rametti secchi e di foglie, che erano stati
lasciati attorno ai tronchi ed ora si disperdevano in colonne e mulinelli.
Di questo inverno strano e senza neve attorno i ricordi di
ciò che siamo stati, e nel farlo poi ne siamo sconsolati e attoniti per il
risultato, come se il nuovo non fosse nel ripetersi di gran parte delle
abitudini e dei gesti ma imprevedibile e meraviglioso nel suo risultato. Così pensavo augurandomi e
desiderando per chi mi è vicino, sia l’abitudine con le sue certezze d’identità
come il nuovo che essa produce e intanto infornavo il pana.
La sera
precedente, c’era ancora luce, guardando dalla finestra avevo impastato il
pane. A lungo e a mio modo, senza la meticolosa minuzia degli appassionati
panificatori del web, piuttosto pensando al fare bene augurante del gesto, al
coincidere tra parola e sostanza che risiede in qualcosa che poi diverrà
intimamente nostro, ma non solo nostro perché sarà diviso con altri, e
l’aggettivo buono lo distaccherà da qualcosa di consueto perché è sempre
diverso e in fondo nuovo e il buono coincide più con la novità che col ricordo. Cuocere il
pane il primo giorno dell’anno e mangiarne anche nei giorni successivi in una
continuità che appartiene a ciò che si fa lo sento beneaugurante. E anche come
lo si pensa con la parola che diviene fare e non solo significato mi sembra un
gesto significativo.
Nella laica
modalità dello stare assieme a pranzo ci si sceglie, ma è già un dopo l’aver
preparato, si condivide non il fare ma la parola che unisce, il cibo che
dev’essere sapido, soddisfacente il corpo oltre il necessario. Così la
convivialità che diviene eccezione e si distacca dagli innumeri pranzi e cene
consumati per abitudine è già un ulteriore l’aver costruito il modo dello stare
assieme, l’averlo preparato. Così il
fare il pane il primo giorno dell’anno è per me un fatto simbolico di qualcosa
che precede ciò che avverrà poi in una sorta di auspicio dell’essere assieme.
Fare il pane è uno sperimentare il senso del miracolo che avviene nel combinare
e trasformare le cose. Mobilitare i lieviti, farli agire con le farine,
aspettare i tempi e le temperature che li fanno prosperare, e lasciare che si
esprimano nella semplicità del soffice e del bianco dentro un involucro di
profumata croccantezza oppure sperimentare e dare un sapore ulteriore con
l’olio o i semi. Mi piace
fare il pane e ancor più il primo giorno dell’anno, magari non verrà qualcosa
di memorabile, non sarà qualcosa da confrontare con quello del fornaio ma è il
fare che continua e si rinnova in gesti antichi ed è buono per più giorni.
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by:Willyco
in alto,
senza parere.
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Ci si innamora anche delle metafore per sentire la vita che
è sempre nuova e non dimentica mentre continua.
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