Avevo vent`anni.

Correva l`anno di grazia 1965 e aimè...!! Avevo vent`anni quando cominciai a conoscere l’Europa grazie alla mia 500 e per tutta una vita continuai a viaggiare in Europa in auto (non più con la 500...), E già... 1965. Addio merletti ingialliti sui poggiatesta degli schienali di II° classe carezze di molle a fior di pelle, addio. Addio daghe di legno scricchiolanti dei sedili di III° classe, reticelle sfondate dei ripiani portabagagli. Addio vecchio treno pendolare delle:5:18, Civitavecchia-Roma Tuscolana. 
Nessun addio invece per la mai conosciuta I° classe. Io oramai viaggiavo in 500 in una Italia che si stava rimettendo in piedi con ritmi e modi diversi, Sud, Centro, Nord. Vivevo con sempre nuove emozioni anno dopo anno la trasformazione della rete stradale italiana, conobbi prima la A1, poi la A14, tante altre sigle ancora. Un retrospettivo sguardo a volo d’uccello sulle tappe di quei percorsi di viaggio rivela tanti fili di ideali raccordi, tracciati in tanti secoli di storia dell’Europa dai movimenti della cultura, dalle personalità che l’hanno vivificata. Quei fili che collegano luoghi lontanissimi l’uno dall’altro genti fra loro sconosciute sono i percorsi che uniscono Helsingör in Danimarca con il suo castello popolato dai regali fantasmi creati dalla fantasia shakespeariana (lui che non si era mai mosso da casa...) alla sua piccola Stratford in Inghilterra. E poi, Copenaghen il Museo di Thorvaldsen, lo scultore danese innamoratosi a Roma dell’arte del Canova. Per chi aveva l’età giusta c’era anche l’Europa delle fiabe da scoprire, dalle atmosfere cupe dei Fratelli Grimm, con Pollicino e Hansel e Gretel persi nel fitto della Selva Nera. Alla partenza dalla maremma il paesaggio troppo noto mi appariva noioso. Monotoni i campi infiniti di grano scontate erano le distese argentate di chiome d’ulivo che si allargavano alla vista attraverso la nebbiolina dorata alta sulla rossa terra umida. 
Dovevano passare anni per capire la ricchezza di quel paesaggio. Appena uscito dalle terre Etrusche su, su, sempre più su, quella Italia ancora sconosciuta di cui pochissimi avevano notizia una volta superata Roma : "Targa SI…? Siena? Siena...? Dove? Ah… la Toscana!Ripenso con nostalgia a quella nostra Italia ancora da ricostruire, con le Statali strette o non asfaltate, qualche cartello sbilenco per le indicazioni e pietre miliari ai bordi per sapere dove eravamo e dove andavamo. I lavori stradali erano gestiti da uno sparuto drappello di operai abbrustoliti dal sole, in testa il fazzoletto inumidito fermato dalle quattro cocche che consegnavano un impolverato straccio rosso all’automobile capo colonna da restituire al termine del tratto dei lavori in corso. Le Statali alpine, le salite con i tornanti a gomito che facevano irrigidire, immobili, guardando giù lo strapiombo mentre si incrociava un camion. Il fondo stradale privato dell’asfalto dal ghiaccio dell’inverno. 
Questo era il Gottardo da valicare non senza problemi. Ancora niente Autogrill. Un uovo sodo, portato da casa. Qualche biscotto per smorzare la fame prima della sosta per la colazione al sacco. L`happening più atteso non per quello che si mangiava ma per il modo in cui si mangiava e il luogo in cui si mangiava. Arrivai a conoscere le pesche del Trentino mai viste le pesche gialle dalla buccia vellutata. E poi l’incredibile varietà di formaggini che mi offriva la Germania, al pepe, alla paprika, al gusto di wurstel mangiati in riva al Reno. Indimenticabile l’enorme flanfromage acquistato a Kaiserslautern, barattoloni comprati in Svizzera da cui rotolavano enormi fragole immerse in un delizioso sciroppo (marca Hero’s, indimenticabili). Guidare,guidare fino su in Svezia sgusciando fra tanti camion, vecchi e arrugginiti.. La Svizzera era le prima meta. Casette di legno con i coloratissimi balconi, fragranti nell’aria e profumate come di miele le piante di campanule che le rallegravano. Poi quei cartelli infilati sulle facciate, inizialmente incomprensibili : Zimmer, Zimmerfrei, Gasthof
Mi rassegnai all’assenza di imposte alle finestre anche a gli incredibili piumini praticamente enormi cuscini da poggiare sul corpo non mi facilitavano il risveglio mattutino rallegrato però da colazioni mai viste.Teiere, teierine, coppette, panetti fragranti, panna, burro, grasso latte dal gusto a noi sconosciuto, profumate marmellate, un lunghissimo caffè l’unico neo. Dopo a pranzo inutile era leggere il menu, "nudelsuppe" una zuppa davvero nuda e triste, priva di tutto, anche dei cerchietti di grasso di un brodo di dado poi kartoffeln, kartoffeln e poi sempre kartoffeln. Qualche volta wurstel sempre nell’odore avvolgente dei crauti. Mi salvavano le apfeltorten, le impareggiabili torte alle mele rara la sachertorte. La Svizzera poi l’avrei attraversata quasi ogni anno. Tutto ordinato e pulito sempre e dovunque, l’immagine-tipo della Svizzera non si smentiva mai. Era un Paese che non aveva conosciuto la guerra, quella che aveva lasciato miseria e rovine così era andata avanti tanto avanti da poter offrire lavoro a tanti meridionali. Si incontravo dappertutto. C’era nostalgia nei loro volti nel loro approccio ma non la sofferenza di quelli incontrati in altri Paesi d’Europa. Nel viaggio di ritorno in Italia la tradizione imponeva di infilare una stecca di sigarette nella valigia. Anche se io non fumavo e poi marmellate e cioccolato e il pieno di benzina prima di raggiungere Chiasso. Alla dogana sempre batticuore per quei miei peccati! 
Sull’Autobahn tedesca fu un impatto sconcertante con quel nastro che correva dritto e monotono attraverso la Foresta Nera, mentre un implacabile rullio ritmico che favoriva il sonno ti martellava. Qui però doganieri esigenti,sospettosi, bagagli, carta verde, passaporto sempre meticolosamente esaminati da tanti occhi e tante mani. Poi finalmente nei Paesi del Nord anni ‘60, fari delle modernità del tempo: cucine svedesi, formica, nudo design linee avveniristiche nell’architettura erano le lezioni dei Maestri nordici. A Copenaghen omaggio alla dolce sinuosa Sirenetta ma anche al monumento alla Pescivendola. Dura e tozza, a Odense la casa di Andersen quasi uscita da una fiaba con la sua brava cicogna (vera!) in cima al comignolo. La Svezia era al di là di un braccio di mare. 
Foresta! Distese di laghi in lontananza poi Jönköping, Lindköping, Norrköping, sembrava di rimanere sempre allo stesso punto, suoni simili e rarefatti panorami sempre uguali. Ma arrivò l’impatto inaspettato e sconvolgente con le infrastrutture della periferia di Stoccolma. La mia bella autostrada del Sole ne era lontana anni luce: svincoli a otto diramazioni sopraelevate, rotatorie, ponti e… indicazioni in svedese per me un infinito cieco labirinto che mi sconvolse. Ma l’organizzazione dell’accoglienza fu insuperabile. 
Con rassegnazione accettai di nutrirmi di poco costosi smörgåssar le grosse tartine farcite di tutto e di più di che cosa che non seppi mai. E mio malgrado non lo sò nemmeno oggi. Una sera una scoperta: Un candido camioncino un omino dal candido cappellino e un morbido caldo panino farcito con un fragrante wurstel arrostito: mai assaggiata una simile golosità in terra mediterranea, avevo scoperto korv med bröd. 
Conobbi lo choc del sabato sera di Stoccolma, una via di mezzo fra la movida notturna di una città di oggi e un’ubriacatura collettiva che accomunava giovani, maturi professionisti e impiegati. Qui mi fermo perchè purtroppo della Svezia mi innamorai…ma questa è un altra storia. Ve la racconterò un altra volta.
Attraverso l’Europa che cambia. 
Grazie Sirella D'Amato.
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Sono andato, tornato, ripartito.

Sono andato, tornato, ripartito.
E così ora sono qui, in un’altra fase della Vita. Abito vicino al ponte Västerbron, a forma di arpa. E’ bellissimo. La mia gratitudine è a scoppio molto ritardato. Faccio in tempo a dimenticare gli atti, i nomi e i volti prima di aver capito quando dovessi ad ognuno.

Mettiamo le cose in chiaro

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